Possiamo riflettere come nella letteratura greca e romana, predominanza assoluta aveva la rosa, incarnazione artistica della dea dell’amore Afrodite-Venere: un parallelo che aveva radici antiche, poiché secondo la tradizione la prima sbocciò quando nacque Venere.
Orazio la interpretò come una bellezza transitoria, avendo vita breve.
La pittura a soggetto floreale ebbe inizio nei Paesi Bassi nel tardo XVI secolo, a opera di un gruppo di pittori d’avanguardia tra i quali il più rilevante fu senza dubbio Jan Brueghel il Vecchio, soprannominato “dei Velluti”, seguito da suo figlio Jan il Giovane, che come il padre si distinse soprattutto in questo genere pittorico.
La specializzazione in tali soggetti aprì la strada a una sorta di tacita competizione tra gli artisti, sia dal punto di vista compositivo sia della tecnica e della conoscenza botanica, tutti elementi caratteristici di queste creazioni: Jan Brueghel il Vecchio raffigurò ben cinquantotto specie diverse di fiori in un unico dipinto La valenza simbolica dei fiori, dunque, assume valore metaforico: la primavera, la giovinezza, la grazia dello sbocciare, il richiamo ai profumi e omaggi a Flora, dea della natura, e Aurora, dea dell’alba.
Nei Paesi Bassi del XVII secolo, il genere floreale in pittura racchiudeva l’implicito messaggio morale della Vanitas (con riferimento al brano di apertura del libro dell’Ecclesiaste: «Vanità delle vanità, tutto è vanità»).
Essa per certo rappresentava il concetto di transitorietà insito nella bellezza dei fiori – «ogni cosa bella passa» – e la prova di tale importanza simbolica si capisce dal fatto che spesso venivano raffigurati l’uno accanto all’altro esemplari di stagioni diverse, a dimostrazione che questi dipinti non fossero pure raffigurazioni oggettive, ma comprendevano un messaggio morale ben definito.
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